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POSTO FISSO: IL LUNGO ADDIO

 


Nell’Era della precarietà, neanche la Pubblica Amministrazione garantisce più sicurezza lavorativa ai propri dipendenti: negli ultimi dieci anni, infatti, la P. A. italiana ha registrato una riduzione del 2,8% dei dipendenti a tempo indeterminato ed, al contrario, ben il 58,9% in più di contratti a tempo determinato. Si tratta dei dati che ha rilasciato l’ISTAT alla fine dello scorso anno, relativi all’arco temporale 2011-2020. Accanto a questi dati, relativi ai soli dipendenti, vi è un altrettanto notevole incremento dei collaboratori e dei vari atipici che lavorano e hanno lavorato per le pubbliche amministrazioni in questi dieci anni: +59,1%.

Non c’è da stupirsi. In fondo, il “posto fisso” viene demonizzato da tempo immemore, tanto da apparire come una sciocca ossessione da bamboccioni di provincia nella famosa parodia zaloniana. Da anni ormai viene descritto più come un disvalore, invece che come garanzia di imparzialità da parte di chi garantisce servizi pubblici. Inoltre, da tempo viene dipinto come un ostacolo alla dinamicità dell’economia, invece che fonte di stabilità e maggiore domanda per i beni ed i servizi offerti in un Paese. Anche a causa di queste operazioni contro-culturali ci ritroviamo oggi una P. A. sempre più precaria e sotto-organico.

Demonizzare il settore pubblico e i diritti di chi ci lavora non ha migliorato e non migliorerà le condizioni di vita della popolazione a cui si rivolgono i servizi pubblici. Il nostro compito è infatti anche questo: abbattere i luoghi comuni su cui, ormai da troppi anni, continuano a fondare il progressivo smantellamento dello Stato e dei diritti dei suoi dipendenti.

di Angelantonio Viscione




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