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L'IPOCRISIA SUI VACCINI E LA RINUNCIA A RIFONDARE LA SANITÀ PUBBLICA

Nei mesi precedenti, la pandemia ha duramente provato il nostro sistema sanitario pubblico, impoverito da decenni di tagli e trasferimenti di risorse al comparto privato, portate avanti trasversalmente da centro-sinistra e centro-destra. Proprio la pandemia in Italia, forse ancor peggio in U.K. e sicuramente negli Usa e in tanti altri paesi ha mostrato i limiti di un capitalismo in cui la sanità è stata progressivamente indirizzata verso una logica di profitto e svincolata da un fine più vasto di utilità sociale. Di contro altri paesi con un'economia di ispirazione socialista e soprattutto governati da un'attenzione maggiore verso la sanità pubblica hanno saputo meglio di altri, reggere l'urto dei contagi e dei ricoveri. Con stupore i media hanno parlato delle esperienze positive di paesi come il il Vietnam, Laos, Cuba, il Nicaragua o finanche la stessa Cina, già ripartita economicamente da più di un anno e mezzo dopo aver sperimentato per prima le conseguenze nefaste del SARS-CoV-2.

Di fronte al tracollo di sanità vituperate da processi decennali di drenaggio di risorse  o inquadrati in rigidi modelli privatistici già all'origine (come negli Usa), si è deciso di puntare interamente sulla prevenzione e dunque sulla campagna vaccinale.

Sebbene poi a livello mondiale, proprio lo sviluppo dei vaccini sia stato in larga parte frutto di ricerche accademiche e reso possibile da ingenti risorse pubbliche, quelli che poi ne hanno raccolto i frutti sono state le grandi multinazionali farmaceutiche: il caso del vaccino AstraZeneca è forse quello più esemplare.

Si è su queste premesse avviata una campagna vaccinale che già al suo esordio ha messo in luce egoismi nazionali di ogni tipo: tristissima la scena di quei Paesi che in virtù della propria forza economica e politica facevano incette di lotti di vaccini in misura di gran lunga superiori ai propri bisogni, come nel caso del Canada, a scapito dei paesi economicante svantaggiati.

Al W.T.O. poi, andava in scena il festival dell'ipocrisia con U.E., Usa, Giappone e Australia, compatti nel  non votare a favore della sospensione temporanea dei brevetti proposta da India e SudAfrica e ad analoghi esiti si approdava in momenti diversi al Parlamento Europeo ( salvo una recentissima votazione a favore su un emendamento a una risoluzione, però non vincolante); di contro proprio l' Unione Europea decideva di ricorrere esclusivamente ai vaccini delle Big Pharma e rifugiandosi dietro la mancata autorizzazione dell'Ema, nonostante l'urgenza e la straordinarietà della situazione, precludeva l'accesso a vaccini come quelli russi e cinesi per motivi chiaramente geopolitici ed economici.

La proposta di Biden di sospendere i brevetti , che funge da contraltare alle analoghe precedenti proposte (omesse dai nostri media) di Putin e di Xi Jinping, non ha ancora in modo tangibile prodotto i risultati sperati se non la promessa di donazioni di milioni di dosi gratuite da parte di alcune grandi case farmaceutiche che preferiscono non guadagnare su tali lotti pur di non perdere anche temporanemente la proprietà dei brevetti. In questa logica si è arrivata al recente Global Health Summit: qui alle dichiarazioni dei grandi si è aggiunto quella della seconda economia al mondo, la Cina che ha già fornito più di 300 milioni di dosi di vaccini al mondo e che contestualmente ha reiterato l'impegno di supportare le proprie aziende di vaccini nel trasferimento di tecnologie ad altri Paesi in via di sviluppo e nella produzione congiunta con loro ed espresso sostegno per la rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale sui vaccini COVID19  sostenendo l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e altre istituzioni internazionali nel prendere una decisione tempestiva in merito, perchè proprio in questa sede si gioca una parte essenziale della partita.

Focalizzandoci sull' Italia, si sono cumulati i ritardi nella campagna vaccinale anche in virtù dei capricci nelle forniture delle multinazionali farmaceutiche mentre in altri paesi europei, come Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca si derogava all'Ema, affidandosi per le autorizzazioni ai propri istituti nazionali e velocizzando le campagne di somministrazione aprendosi ad altre soluzioni vaccinali.

Riusciva nell'impresa di far bene (pur essendo fuori dell'Unione Europea,) con un rigurcito di sovranità anche la piccola San Marino che per il 90% delle proprie somministrazioni ha utilizzato lo Sputnik o la Serbia uno dei paesi europei più celeri nella campagna vaccinale e che per il 70 per cento delle somministrazioni ha utilizzato il Sinopharm.

L'Italia che da tempo ha deciso di rinunciare alla ricerca pubblica, entrata tardi in corsa con capitale pubblico nel vaccino ReiThera,ad oggi rimasto al palo, è finita invece per rimanere confinata nella morsa dei dicktat europei.

A breve comunque arriveranno nuovi lotti delle note case farmaceutiche nel nostro paese e l'accapparamento e la somministrazione non saranno più un problema, nonostante le criticità passate e attuali: un collega in un centro vaccinale di Palermo ad esempio solo pochi giorni fà, chiamato per il suo turno, dopo ore di attesa è stato rimandato a casa perchè le dosi  a disposizione erano finite.

Una criticità da evidenziare e che dovrebbe essere motivo di battaglia politica e sindacale, è poi la rinuncia a discapito degli annunci istituzionali, a voler rifondare il sistema sanitario pubblico e a costituire una vera e propria medicina di prossimità territoriale. Manca la volontà politica e lo dimostrano sia la scarsa lungimiranza e pianificazione, sia le scarne risorse individuate da destinare a tali voci: col rischio che in caso di incremento di nuovi varianti o future pandemie, si riassista agli stessi tragici scenari che un sistema sanitario pubblico, invece, con maggiori risorse e dunque con più personale, posti letto e terapie intensive e una efficiente medicina di prossimità territoriale, potrebbe invece evitare.

di Francesco Fustaneo

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