Ospitiamo il contributo di una delle relatrici intervenute al convegno "Respect - Contro ogni forma di discriminazione" organizzato dalla FP Cgil e dalla FP Cgil Caserta venerdì 20 maggio 2022 a Mondragone (CE).
Il nostro è un territorio in cui parlare di violenza di genere e di abusi sul posto di lavoro è un compito arduo ma necessario, per questo motivo ho accettato con entusiasmo di partecipare lo scorso 20 maggio al convegno "Respect" organizzato dalla FP CGIL a Mondragone (CE). Da quando abbiamo messo in piedi l’associazione Millemé, di cui sono vice presidente, il nostro gruppo di psicologi, psicoterapeuti e legali ha operato in tutta Italia ma in particolar modo nel Sud, dove il gap salariale e i livelli di disoccupazione femminile (35,3% nel 2021, secondo i dati ISTAT) sono a livelli inaccettabili.
Indipendenza economica e libertà relazionale, emotiva, psicologica da un rapporto tossico sono strettamente correlati. Sono tantissime le donne che non riescono a lasciare il partner abusante perché non saprebbero come sopravvivere e far vivere i loro figli, troppe le donne abbandonate da inadeguati sistemi di accoglienza e di ricezione delle denunce. Ecco che, spesso, le vittime si ritrovano a ritirare la denuncia a causa di quella che viene definita “vittimizzazione secondaria”.
Nel corso del convegno sono state raccontate storie di donne vessate e mobbizzate sul posto di lavoro, in particolare negli uffici pubblici che dovrebbero essere un luogo di condotta esemplare in termini di rispetto della dignità umana. Quando i diritti di una lavoratrice vengono schiacciati, quando il corpo della donna viene usato come un mezzo di punizione per aver protestato, quando un superiore si sente autorizzato a disporre della sua forza fisica e del suo potere che gli deriva dalla posizione verticistica che ricopre, siamo di fronte a un crimine, a un reato di cui è responsabile una cultura patriarcale, violenta e basata sull’ignoranza.
È assolutamente necessario che per interrompere questa spirale di violenza si proceda per un doppio binario: il primo, quello immediato, è l’assistenza psicologica, legale e sindacale per queste donne. Far conoscere loro le potenzialità di una denuncia supportata da chi lavora con criterio e professionalità su queste tematiche e sa come sostenere una vittima di abusi.
Il secondo binario ha un orizzonte più ampio e necessita di un lavoro più costante e profondo: la psicoeducazione. L’associazione Millemé offre sostegno alle persone che si rivolgono al gruppo di mutuo-auto-aiuto ma fornisce anche un servizio di formazione costante, nelle scuole, nei centri sociali e aggregativi e sulle pagine social, su come uscire dalle relazioni tossiche, tra cui si annoverano anche quelle lavorative.
La sfida più grande è quella di provare a fare divulgazione scientifica per spiegare come è possibile combattere le discriminazioni agendo dai primi mesi di vita del bambino.
Come abbiamo scritto in una delle nostre rubriche: “Educare alla non violenza è una questione da bambini, si basa sulla costruzione di relazioni basate sui principi di parità, di equità, di inclusività e di rispetto. Tutti aspetti che i bambini possono apprendere con immediatezza e profondità per costruire un domani migliore”.
Educare alla non violenza significa essere consapevoli che le etichette di genere, che costituiranno poi gli stereotipi, compaiono nel bambino intorno ai 20 mesi, nelle bambine già a 17 mesi e i giochi gender-based compaiono intorno ai 20 mesi. Bisogna essere consapevoli dei meccanismi che stanno alla base di questo automatismo che, negli anni, diventa comportamento, riconoscerlo e parlarne con i bambini. In poche parole, allenare l’educazione emotiva.
È questo l’unico modo per colmare un gap tra maschi e femmine che non è genetico ma culturale. Le differenze genetiche sono da valorizzare sul lavoro, delineando orari, modi di lavorare e di raggiungere obiettivi che contemplino la possibilità di vivere la maternità non più come un ostacolo al lavoro.
La politica deve lavorare tanto su questo tema, servono sostegni reali e concreti dalle donne che lavorano e che non devono trovarsi più a decurtarsi le ore, lo stipendio o addirittura licenziarsi perché non esistono servizi, asili nido pubblici e strutture per l’infanzia.
Così come è necessario che venga fatta formazione alle ff.oo. e a tutte le figure professionali che si troveranno ad accogliere una persona che denuncia un abuso o una violenza. Senza questo aspetto, non ci sarà alcun Codice Rosso che possa salvare una vita umana.
Mena Rota