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I GIOVANI IGNORATI: IL GRANDE LIMITE DI UNA BRUTTA CAMPAGNA ELETTORALE

 



Secondo l'ultima rilevazione Eurostat, l'età media dei giovani italiani che vanno a vivere da soli è scesa da 30 a 29,9 anni, contro una media europea di 26,5 anni. L'Italia si distanzia millimetricamente dalla soglia psicologica che delimita la “fascia nera” (Grecia, Portogallo, Croazia, Bulgaria e Slovacchia), rimanendo in una zona di confine. Questo dato va letto in controluce: l'ultimo Rapporto Istat, infatti, ricorda che circa 7 milioni di giovani vivono in casa con i genitori: il 67,6% del totale.

Partiamo da qui. In un paese che ha speso pagine e pagine a discutere di "bamboccioni", in un paese in cui i temi generazionali sono trattati con sufficienza e ogni occasione è buona per criticare le misure di sostegno alle fasce meno abbienti, il tema delle politiche giovanili non viene valorizzato in campagna elettorale. Si è discusso dei benefici dello sport, di candidati under 35, in un momento di delirio si è perfino parlato di “devianze”, ma i temi concreti che investono la quotidianità di quel 67,6% di giovani faticano a trovare spazio nell’agenda pubblica.

Eppure gli argomenti non mancherebbero. La prima domanda che i media, e di riflesso la classe dirigente, dovrebbero porsi è: perché i giovani non abbandonano il tetto familiare? La tendenza Capanna, la narrazione romanzata dei “formidabili anni” passati, spinge a puntare l'indice sulla scarsa proattività degli under 35. Non vengono valutati i percorsi formativi, estremamente più complessi e maggiormente battuti rispetto al passato; non vengono analizzate le condizioni del mercato del lavoro, il sottobosco di contratti alla stregua dello sfruttamento; non vengono valutati i flussi migratori, interni e internazionali, che spesso segnalano un’ulteriore depressione economica del Mezzogiorno. No, si addita – come di consueto – il mostro e s’indirizza la riprovazione delle masse sui perdigiorno che vogliono vivere col Reddito di Cittadinanza. Una narrazione scissa dalla realtà.

Il rapporto "Nuove professionalità e nuove marginalità. Opportunità, lavori e diritti per i giovani del terzo millennio" – realizzato dal Consiglio nazionale dei giovani (Cng) in collaborazione Eures – racconta una realtà profondamente diversa. Un giovane su due percepisce una retribuzione estremamente variabile, il cui importo si aggira attorno ai 1.000 euro; un giovane su cinque (21,2%) chiede maggiori tutele per il "il rispetto delle festività, dei turni e degli orari" (sic!). 

In un paese in cui l’astensionismo è alto, in una tornata elettorale in cui per la prima volta i diciottenni voteranno al Senato, è possibile che le forze politiche a fatica s’intestino queste battaglie? C’è un vuoto di rappresentanza che alimenta una spirale di sfiducia, verso la politica e verso le istituzioni. Un vuoto di rappresentanza che si riflette nell’astensionismo, convitato di pietra in ogni elezione. 

Servono risposte organiche. Il salario minimo, i riscatti di laurea gratuiti, la lotta ai tirocini non pagati dovrebbero costituire una base di discussione condivisa e invece, paradossalmente, risultano temi divisivi. È soltanto mettendo al centro il tema del lavoro, nella cornice più ampia del processo di digitalizzazione in atto, che potremo tracciare un’idea per il futuro sostenibile del nostro sistema. Altrimenti ogni ragionamento è destinato a naufragare nei rivoli delle finanziarie tecniche e nella personalizzazione del confronto politico.

Giuseppe Lombardo

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