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LIBERTÀ

 

“Donna come l’acqua di mare,

chi si bagna vuole anche il sole,

chi la vuole per una notte,

c’è chi invece la prende a botte”


Così recitava, tristemente, Mia Martini e così riecheggiano incessanti ogni giorno, sulle pagine dei giornali o dai monitor delle nostre tv, le stesse brutali parole perché da qualche parte, un qualche uomo, ferito nel suo machismo più bieco e controverso, ha ritenuto di dover esercitare il suo potere punitivo.

Purtroppo la piaga della violenza sulle donne assume ogni giorno contorni sempre più preoccupanti, e se da un lato ci si interroga sui motivi e sugli interventi da mettere in campo, dall’altro ciò che spaventa è la trasversalità della questione, perché se un tempo veniva principalmente riscontrata in contesti sociali border-line, oggi pare sia diventata una piaga che attraversa in modo prepotente le diverse scale sociali dalle più difficili a quelle apparentemente tranquille. La donna, diventa quindi il capro espiatorio di frustrazioni e debolezze maschili, la sua dignità calpestata, come il suo diritto ad essere libera: libera di pensare, di vivere, di essere. Tale fenomeno si pone in netta contrapposizione con la modernità di un mondo che viaggia sempre più veloce, dove i confini non paiono essere più così stringenti e dove l’evoluzione, forse solo tecnologica, pare farla da padrona. Inevitabilmente si torna indietro nel passato, a periodi oscuri, in cui la donna trascorreva marginalmente la propria vita, asservita al volere del “maschio” di casa, priva di alcuna volontà o potere decisionale. Tuttavia, siamo, in un’era in cui l’evoluzione delle coscienze e delle conoscenze ci obbliga a riflettere e a superare un concetto così basso per fare posto a posizioni finalizzate a contrastare tale fenomeno. Nel 2006 il Dipartimento delle Pari Opportunità ha istituito un numero antiviolenza (1522) per raccogliere le richieste di aiuto e offrire sostegno alle vittime di violenza e stalking, e negli anni ha raccolto sempre più chiamate rilevando che il tipo di violenza più segnalato è quella psicologica che quasi sempre si accompagna a quella fisica. Purtroppo il triste susseguirsi di femminicidi, che sono ahinoi l’epilogo più tragico di un fenomeno che però ha diversi stadi, molti dei quali non assurgono agli “onori” della cronaca, solo perché non mortali ma non per questo innocui, ha indotto enti, associazioni e governanti ad adottare misure di contrasto al fenomeno, offrendo alle vittime strumenti di ancoraggio. Sono moltissime, infatti, le donne che seppur stanche di subire accettano di condividere il tetto domestico con il proprio carnefice, nella maggior parte dei casi perché in condizioni di scarsa autonomia economica e psicologica. Inoltre, l’emergenza epidemiologica, ha finito per incrementare il fenomeno, determinando una maggiore vulnerabilità della donna.  Ben venga dunque il “Reddito di libertà”, che si pone l’obiettivo di fornire alle donne, vittime di violenza domestica, in condizioni di soggezione psicologica, e per lo più economica, di potersi allontanare dal “covo di torture”, allentando il “cappio” che costringe, quasi sempre, le vittime a restare ancorate al proprio carnefice. Istituito con il D.P.C.M del 17 dicembre 2020, il reddito di libertà è una misura destinata alle donne residenti nel territorio italiano che siano cittadine italiane o comunitarie oppure, in caso di cittadine extracomunitarie, in possesso di regolare permesso di soggiorno. Alle cittadine italiane sono equiparate le cittadine straniere aventi lo status di rifugiate politiche o lo status di protezione sussidiaria. Il contributo è volto a sostenere le donne con figli o senza figli per agevolarne il percorso di autonomia abitativa e di sostegno scolastico per i figli, presuppone l’essere seguita da un centro antiviolenza che ne attesti il percorso di autonomia e dal servizio sociale che attesti invece la condizione di bisogno ordinario o straordinario e urgente. Una misura, che seppur non risolutiva del problema alla base, ha la capacità di rompere lo schema di asservimento sopra il quale poggia tal fenomeno, sradicando dalle coscienze di chi a torto si ritiene, forse per divina concessione, un essere superiore quasi come contrappeso della forza che negli anni la donna ha saputo dimostrare. 

Molto altro c’è da fare e molto altro si farà, a partire dalla formazione delle nuove coscienze, delle nuove generazioni sulle quali si fonda la speranza di noi tutti, affinché possano ispirarsi ad una nuova moralità e dare il giusto valore al principio di uguaglianza. A loro dobbiamo affidarci donando esempi costruttivi attraverso un vissuto fatto di realtà tangibile, di esempi concreti e non lontani immaginari e inarrivabili. A loro dobbiamo insegnare che la vita va rispettata nella sua interezza, nelle sue difficoltà, ma anche nella sua sorprendente capacità di offrirci nuove occasioni, nuovi insegnamenti, nuove speranze perché da qualche parte, in qualche momento ci sarà sempre un modo per risollevarci, perché dopo una fine ci sarà sempre un nuovo inizio.


di  Anna Maria Brancaccio


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