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RIDUZIONE ORARIO DI LAVORO: PERCHÉ SÌ E PERCHÉ ORA, IN UNA SIMULAZIONE

La generalizzata e rapida espansione dello smart working causata dalla pandemia ha comportato grandi mutamenti nell’organizzazione del lavoro in Italia e nel mondo. Tra luci ed ombre, i vantaggi più largamente riconosciuti riguardano sia vantaggi di carattere individuale, come quelli legati ad un miglior equilibrio vita-lavoro, e sia vantaggi di carattere collettivo, come la maggior produttività registrata ed il minor impatto sull’ambiente dovuto ad un numero inferiore di spostamenti quotidiani.

L’espansione dello smart working non è però la sola innovazione organizzativa che la pandemia sta portando con sé nel mondo. Nel suo ultimo articolo su questo blog, ad esempio, Giuseppe Lombardo ha introdotto il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, riprendendo in particolare la recente proposta della Spagna in proposito. Prevedendo un contributo finanziario via via decrescente alle imprese che aderiranno alla sperimentazione nel corso del triennio, infatti, gli spagnoli progettavano di utilizzare anche in questo modo le risorse del Recovery Fund. Gli obiettivi della sperimentazione iberica non riguardano solo l’assorbimento di una parte dei disoccupati. In modo simile a quanto rivendicato anche dai supporters dello smart working, ci si attende anche un incremento della produttività (come ormai dimostrato empiricamente da diverse ricerche scientifiche) ed un minore inquinamento, oltre che ovviamente una migliore conciliazione dei tempi vita-lavoro individuale. 

Si pensi alle tante innovazioni introdotte negli ultimi decenni, comprese le più recenti in tema di digitalizzazione e Intelligenza Artificiale.

Queste innovazioni ci permettono essenzialmente di produrre gli stessi beni o erogare gli stessi servizi in un lasso di tempo inferiore rispetto al passato, consentendo anche di perseguire tutti gli obiettivi descritti in precedenza. All’estero, infatti, non mancano sperimentazioni, proposte ed elaborazioni. A mo’ di esempio, nel paper “A Scottish Four Day Week: Initial costings for implementation in the public sector”, il think tank britannico Autonomy ha simulato gli effetti della riduzione della settimana lavorativa a quattro giornate nelle pubbliche amministrazioni scozzesi, al fine di individuare il numero di assunzioni necessarie a garantire lo stesso livello di servizi ed i relativi costi. 

Possiamo replicare lo studio utilizzando i dati delle pp. aa. italiane. Mettiamo quindi da parte per il momento la questione della sottoccupazione delle nostre pp. aa. e adottiamo le stesse ipotesi di base dello studio britannico in termini di aumento stimato di produttività (tra il 2,5 e il 5%) e di prelievo fiscale che ritorna nelle casse dello Stato (un decisamente prudente 10-20%, dati i nostri livelli di tassazione). Al netto del turnover, una riduzione da 36 a 30 ore settimanali nella PA italiana condurrebbe ad assunzioni per 494mila/590mila unità, con un costo netto compreso tra i 12 e i 16 miliardi di euro, ossia circa il 7% dei 191 miliardi e mezzo del Recovery Fund.

In altre parole, avremmo potuto utilizzare 7 euro ogni 100 dei fondi europei al fine di creare nuova occupazione di qualità e rinnovare la nostra Pubblica Amministrazione, oltre che per contribuire a raggiungere i macro-obiettivi dello stesso Recovery Fund: incrementare la produttività della PA, favorire (antropologicamente) la sua digitalizzazione e ridurre l’impatto sull’ambiente. 

Lo spazio di questo post non esaurisce ovviamente il dibattito sul tema. Quello che conta - come diceva Giuseppe nel suo post precedente - è alimentare una piattaforma di discussione. Quello che conta, in particolare, è raccogliere e distribuire i frutti di un altrimenti freddo ed alienante progresso tecnologico, impedendo che si traduca soltanto in licenziamenti e sottoccupazione nel settore privato e tagli al personale e blocchi del turnover nelle pubbliche amministrazioni. 

di Angelantonio Viscione

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