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IL LAVORO PUBBLICO DELLE DONNE. LE DONNE DEL LAVORO PUBBLICO.

Un articolo pubblicato a febbraio sul Sole 24 ore a firma del think-tank Tortuga,  analizzava bene alcuni dati riguardanti le donne nel lavoro pubblico, dal tema salariale a quello degli avanzamenti di carriera.
Dai dati Ocse, infatti, emerge come il divario occupazionale di genere sia minore laddove il settore pubblico occupi una quota maggiore dei lavoratori. Secondo Tortuga, infatti, “gli Stati che occupano nella pubblica amministrazione più di un lavoratore su quattro presentano un divario di genere in media inferiore al 5% (ad esempio i paesi nordici). Viceversa, i Paesi caratterizzati da una percentuale di occupati nel settore pubblico sul totale inferiore presentano un divario superiore al 10% (è il caso dell’Italia e della Spagna).”
In altre parole, tra i diversi fattori, esiste quello per cui il gap salariale in Italia potrebbe diminuire se  aumentassero le assunzioni nel settore pubblico. Nel 2017 le dipendenti pubbliche in Italia erano il 57%, mentre nello stesso anno le donne italiane occupate erano il 42% . Per tali ragioni quando  si parla “di tagliare i dipendenti pubblici perché sono troppi”, l’Istat ricorda che fra il 2011 e il 2015 c’è stata una riduzione nel settore pubblico del personale a tempo indeterminato (-1,7%, -45mila unità) ed un aumento di quello a tempo determinato (+5,1%, +10mila unità circa)”. In altre parole non sono aumentate le assunzioni nel settore pubblico, ma sono cresciute le collaborazioni e le forme di contratto atipiche (+50% rispetto al 2011).
Eppure nonostante in generale nel settore pubblico si riduca il gap salariale tra uomini e donne, i problemi relativi agli avanzamenti di carriera permangono. Se è vero, infatti, che le donne sono più degli uomini nell’amministrazione pubblica (si legga D. Mancino) 56,9% (2015), la loro presenza nelle posizioni di vertice (alte cariche dirigenziali) resta limitata, solo pari 14,4% (2015), situazione che sembrerebbe migliorare leggermente solo negli enti pubblici non economici (15,6%). 
Per molte donne, dagli anni ’60 in poi, il lavoro nel settore pubblico ha rappresentato una reale possibilità di emancipazione e indipendenza e di crescita professionale, e non a caso, in questi ultimi anni, tante giovani donne hanno deciso e stanno decidendo di partecipare ai concorsi pubblici (quei pochi indetti). Le nuove dipendenti e funzionarie saranno sempre più donne con alti livelli di istruzione, che approdano al lavoro pubblico dopo anni di precariato dipendente o di una travagliata vita da partita iva o di libera professione. Sono donne che scelgono il lavoro pubblico perché garantisce ancora una maggiore conciliazione tra lavoro e vita privata, e perché il settore privato, reso precario e più vulnerabile, spesso espone le donne a dinamiche ricattatorie, discriminatorie, di mobbing e di molestia. Emblematico il dato per cui, a causa della crisi pandemica, il 98% di coloro che hanno perso il lavoro è donna.
Ricordiamo anche questi elementi quando il lavoro pubblico è attaccato e demonizzato. Ricordiamo anche questo mentre chiediamo un riconoscimento della professionalità nel lavoro pubblico ed una maggiore digitalizzazione della PA. Ricordiamo che per molte donne lavorare nel pubblico è poter lavorare con le tutele e i diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti e in tutti i luoghi di lavoro, nella speranza che anche il settore privato torni ad essere meno precario e vulnerabile e meno respingente per tante donne.

di Elena Monticelli 





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