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PERCHÉ I CONCORSISTI STANNO PROTESTANDO CONTRO BRUNETTA? #UGUALIALLAPARTENZA

In questi giorni si stanno moltiplicando le proteste degli aspiranti concorsisti contro il Ministro Brunetta: su Change.org è stata lanciata la petizione “No ai concorsi per titoli - No alla Riforma Brunetta”, che ha raccolto migliaia di firme, mentre su Twitter è stato lanciato un hashtag molto utilizzato #ugualiallapartenza, è stato inoltre lanciato spontaneamente il Comitato No Riforma PA.
Alla base della protesta ci sono le nuove norme che dovrebbero regolare le procedure concorsuali,  introdotte dal decreto legge n. 44 dell’1 aprile 2021, che si inseriscono in un nuovo processo di riforma della Pa guidata dal ministro Renato Brunetta.
Con l’art. 10, co. 1 del decreto in questione, infatti, si attribuisce alle amministrazioni la discrezionalità di precludere l'accesso alle prove preselettive dei concorsi a coloro che non sono in possesso di titoli e gli anni di servizio, inoltre viene valutata anche l’esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, che può concorrere alla formazione del punteggio finale.
Nel bando del Concorso Coesione per 2.800 tecnici al Sud a tempo determinato (per l’attuazione del Recovery Plan) si legge per la prima volta questo criterio, ma anche in alcuni nuovi bandi che riguardano amministrazioni locali.
La protesta dei concorsisti denuncia il fatto che una pre-selezione basata sui titoli e sull’esperienza professionale, escluda aprioristicamente i neolaureati, e tutti coloro che per questioni di reddito non abbiano potuto permettersi di continuare a studiare per acquisire ulteriori titoli dopo la laurea.
Sulla questione dei i titoli è importante specificare alcuni punti. In primo luogo è vero che non tutti i titoli sono uguali, che non tutti i master sono uguali, e che esiste un "mercato dei titoli".
Questo problema però non può essere addebitato a coloro che hanno deciso di investire nella loro formazione, ma ad una evidente deregolamentazione di questo settore, con la proliferazione di istituti di formazione più interessati a lucrare su chi li frequenta che ad offrire reali opportunità di inserimento lavorativo. 
A questo tema si aggiunge il fatto che è lo stesso mercato del lavoro a richiedere un surplus di titoli formativi, pur non restituendo una risposta retributiva adeguata a quei titoli.
Diverso ancora è il caso del dottorato di ricerca, il quale non può qualificarsi solo come un percorso di formazione, ma bensì anche come un lavoro nella ricerca, in quanto la maggior parte dei dottorandi concorre per vincere delle borse di durata triennale.
E’ sensato che i titoli abbiano un peso nei concorsi pubblici? Ai fini di una graduatoria finale in un concorso, ed in modo ponderato sì, per valorizzare alcune conoscenze specifiche, ma è cosa diversa farne uno strumento di selezione all’inizio.  Non è vero che i concorsi in Italia sono facili e lenti, così come viene dichiarato dal Ministro Brunetta.
Chiunque abbia sostenuto dei concorsi pubblici nazionali sa che viene richiesto lo studio di decine di materie giuridiche ed economiche e che l’organizzazione della selezione è appaltata a grandi aziende esterne, in grado di somministrare quiz a centinaia di persone e correggerli con i lettori ottici, restituendo i risultati già nelle 24 ore successive.
Il criterio della pre-selezione attraverso i titoli prevista dal decreto legge n. 44 dell’1 aprile 2021, inoltre, è opposto al metodo di selezione del modello EPSO richiamato ed elogiato nello stesso PNRR, che prevede, tranne che per profili altamente specializzati (per cui valgono i titoli), selezioni più aperte per i profili da funzionari, addirittura aperti a chi è in possesso di un titolo di laurea triennale.
Una specifica va fatta riguardo alla valutazione delle esperienze pregresse: cosa si intende per esperienze nella PA? Perché se si parla di chi ha già un rapporto di lavoro precario nella PA più che di valorizzazione dell’esperienza bisognerebbe parlare di stabilizzazione. Le esperienze pregresse potrebbero essere valorizzate, come i titoli ai fini della graduatoria.
Insomma, questo momento esiste un settore pubblico sotto organico, e l'emorragia di pensionamenti aumenta di mese in mese. E’ davvero necessario introdurre questo criterio per le prossime assunzioni? Soprattutto: è possibile evitare di bandire altri concorsi per assunzioni a tempo determinato?
Si sottolinea, infine, che le nuove norme previste dal decreto legge n. 44 dell’1 aprile 2021 potranno essere applicate non solo ai concorsi che saranno banditi, ma anche a quelli già banditi e per i quali non siano state ancora svolte le prove. Per tali ragioni è importante che si vigili anche sul prossimo bando del concorso Inps per 1858 Consulenti della Protezione Sociale.
Non sarebbe giusto, infatti, prevedere un criterio di preselezione di questo tipo, considerando che il primo concorso Inps per Consulenti della Protezione Sociale del 2018-2019 non lo prevedeva. Si ricordi, inoltre, cosa è successo con il concorso Inps per Analisti di processo che, prevedendo una maggiore selettività, non riuscì nemmeno a selezionare i candidati per coprire tutti i posti messi a bando. La Fp CGIL, in questo senso, ha già presentato un documento nelle audizioni al Senato in cui ha chiesto di rivedere la norma sulla pre-selezione per titoli.
In definitiva la protesta dei concorsisti che si sta sviluppando in questi giorni e che sta raccogliendo l’appoggio anche di alcuni esponenti politici è giusta e va sostenuta, perché quello di cui c'è bisogno è di sbloccare i concorsi a tempo indeterminato, di dare maggiori opportunità di entrare nel pubblico ad un pezzo di generazione formata senza prevedere ulteriori sbarramenti per delle prove che già di per sé risultano complesse.
di Elena Monticelli


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