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LA BATTAGLIA SINDACALE: QUANDO LA FORMA È SOSTANZA

Ho letto con attenzione e interesse il bel contributo dato dal compagno Francesco Fustaneo e pubblicato su questo blog il 5 marzo. 

Condivido molte delle riflessioni fatte e di come il settore pubblico, nonostante gli attacchi di questi ultimi 15 anni, abbia dimostrato che rappresenta un pilastro fondamentale per il Sistema Paese. Tuttavia, le battaglie e le recriminazioni che spesso portiamo sui tavoli nazionali e nelle piazze (oggi purtroppo virtuali) non possono essere messe in secondo piano da errori di strategia che mettono a repentaglio il raggiungimento delle giuste istanze sindacali.

La forma è sostanza e prestare il fianco ad attacchi strumentali non porta giovamento alla causa dei lavoratori, pubblici e privati.

Il collega Fustaneo evidenziava come non ci sia stata la partecipazione attesa per lo sciopero del 9 dicembre. Sicuramente ha ragione quando sottolineava una carenza di momenti di confronto nella fase preparatoria dell’iniziativa, tuttavia credo che uno degli errori principali sia stato indire l’azione proprio il giorno successivo al noto ponte dell’Immacolata Concezione.

Io non ho partecipato allo sciopero proprio per questo motivo, in forte dissenso rispetto ad una scelta che si è prestata, come effettivamente è avvenuto, a critiche strumentali. I soliti dipendenti pubblici, super-tutelati, con lo stipendio fisso, che in questa pandemia non hanno subito alcuna sofferenza economica, scioperano per allungare di un giorno le festività. Come possono essere prese seriamente le giuste richieste avanti a tale premessa?

Allo stesso modo, non giova alla reputazione pubblica del sindacato l’indizione di scioperi e manifestazioni sempre di venerdì o in giornate prefestive.

Se l’organizzazione di manifestazioni nei giorni prefestivi era legata all’obiettivo di garantire la possibilità a tutti di partecipare agli eventi nelle piazze anche più lontane, andare a Roma a manifestare insieme e poi avere la serenità di potersi riposare il giorno successivo, oggi con l’impossibilità di muoversi ed aggregarsi ha ancora senso indire tali forme di lotta di venerdì? Perché non fare uno sciopero di mercoledì? Forse perché si teme che senza “l’incentivo” del weekend lungo, la partecipazione ne risentirà?

Io al contrario credo che evitare di dare armi alla controparte che possano sminuire la lotta sindacale sia una precondizione essenziale per avvalorare le nostre giuste tesi. Se le istanze e le battaglie sono giuste e condivise, la partecipazione non può che essere forte. Cavare dalla fondina la possibilità di ribattere con la classica frase “eh ma quanti hanno partecipato perché ci credevano e quanti per farsi un giorno in più a casa?” non può che avvalorare la forza delle nostre idee.

Al pari non ho condiviso la battaglia fatta a luglio contro la riapertura degli sportelli con la convocazione per una settimana di assemblee in orario mattutino. E non apro il capitolo sul merito delle istanze. Qual è stato il risultato pratico? Un danno all’utenza? Un danno al management dell’INPS? A mio avviso nessuno dei due ma anzi un danno ai colleghi che si sono dovuti organizzare all’ultimo minuto per coprire chi aderiva allo sciopero creando così tensioni con persone con cui avremmo dovuto invece condividere la lotta. Molto più efficace sarebbe stato organizzare tali assemblee in orario pomeridiano, in modo da andare a colpire quanto più è caro al management: la performance e il raggiungimento degli obbiettivi organizzativi.

Concludendo, ha ancora senso organizzare tradizionali scioperi o è necessario pensare a nuove forme di protesta, in verità già sperimentate in altri contesti, come lo sciopero bianco o sciopero del rendimento? Io credo che il rilancio della battaglia e delle organizzazioni sindacali debba passare da un ripensamento delle forme e degli obiettivi della lotta portata avanti dai lavoratori e delle conseguenze delle azioni intraprese in termini di effettivo raggiungimento dei risultati attesi.

di Marco Cavina


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