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IL RUOLO DEL SINDACATO NELLA NUOVA COMPAGINE DI GOVERNO

Non è un mistero che lo scopo del Governissimo guidato da Mario Draghi, come rilevato da Emiliano Brancaccio, sia quello di gestire una ristrutturazione del capitalismo italiano devastato dalla pandemia. Né ormai può più esserci alcun dubbio sulla postura che verrà assunta da questa ristrutturazione. 
Se prima della formazione della squadra vi poteva essere ancora qualche incertezza, la nomina di Giorgetti al MISE e di Brunetta alla Funzione Pubblica, rappresentano una pesante ipoteca sui diritti dei lavoratori ed una dichiarazione di intenti. 
La ristrutturazione sarà a tutto vantaggio del mercato, del capitale finanziario e industriale. Essa travolgerà definitivamente le già precarie condizioni della classe lavoratrice italiana, pubblica e privata.
Beninteso, è probabile che non tutti i comparti soffriranno tagli, licenziamenti e precarizzazione delle condizioni di lavoro. Verranno probabilmente salvati quei settori ancora non decotti, verso i quali verranno indirizzate le esigue risorse del Recovery Fund (altisonanti nei numeri, ma insufficienti se parametrate alle condizioni devastate dell'economia italiana).

Come ha ben evidenziato Dario Fabbri dalle pagine di Limes, il Recovery Fund rappresenta lo strumento con cui l'UE, e tramite essa la Germania, intende salvare parte delle attività economiche ancillari alla propria produzione manifatturiera.
Se così è, allora, il Governo Draghi è chiamato a salvare quella parte della economia italiana subordinata e dipendente dalla produzione tedesca. Ciò significa che il Governo Draghi è chiamato a sancire definitivamente la subordinazione della (sempre esterofila) imprenditoria italiana a quella tedesca, e con essa della classe lavoratrice impegnata in questi settori. 

In questo contesto storico, politico ed economico, l'obiettivo delle forze progressiste del Paese e soprattutto del sindacato deve essere uno ed uno soltanto: evitare che quella porzione di lavoratori 'salvati', possa definitivamente scegliere il sostegno alla classe imprenditoriale, decidendo di legare a questa la propria fortuna. Il rischio sarebbe quello che si aggravare un quadro che la realtà sociale del paese conosce già molto bene: una parte di pochi lavoratori privilegiati, in un mare di precari e lavoratori poveri. Si rischia di creare quella che, mutuando il termine da Lenin, potremmo definire una aristocrazia operaia, sempre più vicina alle esigenze della produzione e della imprenditoria, e meno consapevole delle realtà del paese.


Occorre, invece, serrare i ranghi. Occorre far comprendere come la battaglia del precariato debba essere la stessa che viene portata avanti dall'operaio specializzato, dal dipendente pubblico (ancora) garantito.
Ma soprattutto occorre evitare una saldatura tra imprenditori e lavoratori 'salvati' che significherebbe solo precarizzazione e povertà per tutti gli altri, impegnati negli altri settori.
Ecco allora che la missione del Sindacato dovrà essere una missione di aggregazione e di convergenza di tutte le forze lavoratrici del Paese. Il cammino è insidioso e funestato di trappole. Prima tra tutte la estrema frammentarietà delle situazioni dei lavoratori. 
L’ora però è grave, e richiede iniziative straordinarie.

di Andrea Gaetano Costa

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