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OLTRE LO SCIOPERO: IL SINDACATO NEL RINNOVO DELLA PA

Il dibattito sullo sciopero del 9 dicembre ha due indubbi meriti: testimonia la vitalità del confronto necessario in un'organizzazione sindacale e ci obbliga a riflettere in senso lato sulla posizione dei lavoratori nel settore pubblico. 

Partiamo da un presupposto: la riforma Brunetta, e i successivi tentativi di rimodulare l'azione delle Pubbliche Amministrazioni, ha dimostrato quanto abbia attecchito culturalmente l'idea di concepire l'azione di enti e istituzioni alla stregua di ordinarie realtà di mercato. Sempre più spesso parliamo di utenti e di clienti, non di cittadini. Sempre più spesso perseguiamo politiche di customer satisfaction ispirate al nuovo mantra, "efficacia, efficienza ed economicità nell'azione dell'attore pubblico". Ciò ha avuto un forte impatto sulla quotidianità di chi opera nelle PA. Se la mission non è più l'erogazione di un servizio ma la pura soddisfazione del "cliente", il ruolo di ciascun dipendente muta radicalmente e così il suo inquadramento. Non si è più funzionari di un apparato organizzativo ma consulenti, intermediari, soggetti prossimi all'utenza. E qui si crea un cortocircuito: perché gli intermediari possono essere dotati di autonomia, possono rispondere del proprio operato, ma non sono e non devono essere "manager di se stessi". Altrimenti il lavoro svolto andrebbe valutato con altri criteri.

Questa premessa è indispensabile per capire quanto avvenuto il 9 dicembre, allorquando Dadone — e il solito parterre di media compiacenti — alzò una cortina fumogena sull'iniziativa sindacale: come può scioperare chi ha uno stipendio certo? E' opportuno il piagnisteo dei "garantiti"?

Ora, pur apprezzando la fantasia letteraria di chi definisce "garantito" un blocco di lavoratori che ha stipendi da circa 1400 euro, peraltro in un paese in cui la disuguaglianza e i condoni sono la regola e non l'eccezione, farei sommessamente notare quanto l'esortazione a essere responsabili strida col tenore di certe obiezioni. 

Parliamo di responsabilità. Lo sciopero verteva su diverse rivendicazioni: non soltanto il rinnovo del contratto, ma la sicurezza sul posto di lavoro, maggiori risorse alla PA, nuove assunzioni per consentire la continuità dell'azione amministrativa in un paese che invecchia. Sono riflessioni critiche che dovrebbero stare a cuore a una classe dirigente dotata di visione d'insieme; sono argomentazioni che dovrebbero fare breccia nelle redazioni dei giornali, così attente a valutare nel medio periodo gli investimenti dello Stato. L'hashtag #rinnoviamolapa serviva proprio a rilanciare sui social un progetto complessivo di trasformazione del pubblico impiego, di rinnovamento e modernizzazione. Purtroppo ha prevalso una logica opposta: quella dettata da una narrazione che utilizza il pretesto (la diserzione dall'attività lavorativa) per colpire nel mucchio (i soliti lavoratori pubblici). E tanti saluti a chi si preoccupa del domani.

Ho condiviso gli spunti dei colleghi che mi hanno preceduto e in particolare il richiamo alle nuove forme di protesta, attraverso cui l'azione sindacale si può esplicare. Se il sindacato si cristallizza nella sua azione di lotta, se si piega su un copione sempre uguale a sé stesso, inevitabilmente muore. Lo scopo di ogni organizzazione dev'essere quello d'intercettare lo zeitgeist, lo spirito del tempo, per poter declinare la propria proposta in un percorso di progresso deciso e condiviso. Lo sciopero, però, non può essere cancellato dal lessico dei lavoratori dipendenti. Dev'essere l'estrema ratio, l'ultima mossa di fronte alla sordità della controparte. Si può sempre tentare una mediazione, ma ascoltare e discutere non significa accettare compromessi a ribasso o una dialettica offensiva. Quando le argomentazioni vengono svilite e banalizzate, quando viene lesa la dignità di chi durante la pandemia ha assicurato la continuità dei servizi, allora è il tempo di tracciare una linea oltre la quale non è possibile avventurarsi.

Lo dobbiamo non solo a noi stessi, ma ai tanti operatori della sanità e delle forze dell'ordine che sono sempre stati sui territori durante il lockdown. Era lo sciopero di un intero comparto: quel comparto che a marzo era popolato da "eroi" e che a dicembre ospitava “i vecchi garantiti". Parafrasando Safran Foer, “Essere coerenti non è obbligatorio, ma confrontarsi con il problema sì”. 


di Giuseppe Lombardo

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