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LAVORO AGILE: SI FA SUL SERIO O NO?

Il nostro è un Paese fortemente refrattario alle innovazioni, per cui nessuna meraviglia che uno strumento come il lavoro agile abbia fatto grande fatica ad affermarsi, perlomeno nella PA. Se non fosse stato per il Covid, staremmo ancora a discutere se sperimentarlo uno o due giorni a settimana. L’emergenza pandemica avrebbe potuto rappresentare una stra-ordinaria occasione per l’ammodernamento dei servizi pubblici, facendo piazza pulita dei tanti cincischiamenti che per decenni hanno caratterizzato il dibattito. Purtroppo, dobbiamo prendere atto che, al netto della nomina del “nuovo” Ministro della Pubblica Amministrazione, nessuno dei suoi predecessori ha sinora avuto il coraggio che sarebbe servito, limitandosi a recitare su un copione già scritto nel 2009. Così: nessun tavolo per la contrattazione del lavoro agile è stato aperto; è stato introdotto il Piano Organizzativo del Lavoro agile che può essere solo oggetto di confronto sindacale, proprio perché riguarda l’organizzazione del lavoro che – ai sensi delle norme brunettiane – è prerogativa datoriale; nessuna discussione sulla digitalizzazione della PA è mai entrata nel vivo per superare davvero il cartaceo (le foreste ringrazierebbero); non si parla di condivisione dei dati tra Amministrazioni, né di sperimentare il coworking che potrebbe avere positivi impatti sull’ambiente, ma anche sullo scambio di professionalità fra lavoratori di diverse Amministrazioni. Si è continuato a perpetuare stancamente ritualità, se tutto va bene novecentesche, senza avere l’ambizione di immaginare qualcosa di realmente nuovo. 
Così anche il lavoro agile rischia di trasformarsi nell’ennesimo adempimento da realizzare, nell’ennesima casella “FATTO” da riempire e trasmettere agli organi di controllo, per avere formalmente la coscienza a posto.  Eppure, il COVID ci ha dimostrato che molte Pubbliche Amministrazioni, come l’INPS, sono in grado di far lavorare i propri dipendenti da remoto, non perdendo nulla in termini di produttività, anzi! E’ partito l’acquisto di PC e altra strumentazione per garantire il lavoro da remoto, si è avviata un’analisi delle attività lavorabili da remoto … insomma, pur con molta fatica, la macchina della PA si è messa in moto. 
Quel che ora non va fatto è interrompere il meccanismo avviatosi; al contrario, esso va definitivamente sistemato a livello infrastrutturale - ossia di tecnologie – e formativo e, attraverso un dialogo costante con chi rappresenta i lavoratori, organizzativo. In questo modo, si potranno definire assieme - a livello di contrattazione - le giornate di lavoro da remoto, le fasce di disconnessione, il riconoscimento di compensazioni per i costi sostenuti dai lavoratori e tanto altro ancora. 
Se lo vorremo tutti e per davvero, potrà essere l’inizio di una nuova era per la PA. 

 
P.S.: mentre scrivo, sto sentendo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, secondo cui “l'azione amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche, ha dimostrato capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza e a un uso intelligente delle tecnologie a sua disposizione”. Draghi ha poi aggiunto che la riforma della Pubblica Amministrazione deve comprendere “investimenti in connettività con anche
la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini”. Vedremo se si tratterà dell’ennesima promessa mancata o, finalmente, l’annuncio di una seria e concreta volontà di riforma.

di Matteo Ariano


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