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STORIA DEL LAVORO FEMMINILE IN ITALIA - PARTE II

 
Qual è la situazione oggi?

Attualmente la famiglia non rappresenta più il principale ed unico progetto di vita delle donne. 
Le donne mirano spesso ad inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro per realizzare un loro progetto professionale, mettendo a frutto la formazione conseguita. 
Se si pensa che fino alla fine degli anni Settanta solo una donna in età lavorativa su tre lavorava e che attualmente il 46,3% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora, l'avanzamento dell'occupazione femminile appare netto, ma nonostante la straordinaria crescita del numero delle lavoratrici questo è ancora molto basso rispetto agli altri paesi avanzati ed ancora molto lontano dall'obiettivo fissato a Lisbona del 60%. 
I progressi sono lenti e le disparità di genere persistono tuttora a livello di tassi d'occupazione, di retribuzione, di orario di lavoro, di accesso a posti di responsabilità, di condivisione delle responsabilità familiari e domestiche e di rischio di povertà. 
L'attuale crisi economica aggravata ulteriormente dalla pandemia, con le sue gravi ripercussioni sui tassi di occupazione e di disoccupazione, ha interrotto ogni tendenza positiva determinando un forte incremento del tasso di disoccupazione femminile.
In un contesto in cui il lavoro è divenuto globalizzato, mobile, precario, instabile, individualista, automatizzato. 
Le politiche occupazionali individuate nell’articolo 4 della Costituzione dalle quali partiva la nostra analisi, appaiono sempre più impotenti nel contrastare dinamiche mondiali che provocano la  delocalizzazione delle imprese e ostacolano quello sviluppo imprenditoriale del territorio indispensabile per realizzare un diritto effettivo al lavoro.
A maggior ragione per la donna.
Nonostante un aumento nel livello e nella qualità dell'istruzione (più del 50% dei laureati nel nostro paese è donna, con votazioni mediamente più alte dei colleghi uomini), la fotografia del mondo del lavoro è drammatica.
Il nostro Paese è infatti l‘ultimo in Europa per l’occupazione femminile con poco meno di dieci milioni di lavoratrici e un tasso di attività femminile al 56,2%, lontanissimo dall’81,2% della Svezia, prima tra i Paesi europei.
L'esperienza delle crisi del passato rivela che il tasso d'occupazione degli uomini risale in genere più rapidamente di quello delle donne. Infatti in caso di perdita di lavoro, il rischio di non essere riassunto è più elevato per le donne. 
Altro aspetto evidente ai giorni d’oggi è che il titolo di studio rappresenta un fattore decisivo per la partecipazione femminile al mercato del lavoro in grado di ridurre notevolmente le differenze tra uomini e donne.
Nel 2005 tra le persone in possesso della licenza media il tasso di attività risultava pari al 71% per gli uomini e il 41% per le donne, mentre tra coloro che avevano conseguito il diploma il tasso di attività saliva all'80% tra gli uomini e al 63% tra le donne, infine in corrispondenza del raggiungimento della laurea il tasso di attività oltrepassava l'88% tra gli uomini ma tra le donne sfiorava l'80% (fonte ISTAT). 
In Italia l'84% degli uomini laureati ha un lavoro, contro poco più del 50% di quelli in possesso della licenza elementare, ma tra le donne le differenze si esasperano: oltre il 73% delle laureate ha un'occupazione, contro meno del 18% delle donne in possesso della sola licenza elementare. 

Molti altri fattori ostacolano oggi la donna ad usufruire a pieno del diritto al lavoro sancito dall’articolo 4 della costituzione:
- Il maggiore coinvolgimento negli interventi di flessibilizzazione delle forme di impiego con la conseguenza di occupazioni più instabili. La sequenza di esperienze lavorative temporanee fanno apparire le donne come meno affidabili esponendole al rischio di intrappolamento nel circuito dei lavori instabili. 
- La crescente disponibilità di impieghi ad orario ridotto che meglio si adattano agli impegni famigliari, ha incoraggiato le donne a svolgere un'attività lavorativa consentendo così ad un numero crescente di queste di trovare lavoro ma a questi posti di lavoro ad orario ridotto corrispondono retribuzioni più basse e scarse opportunità di carriera. Il part-time è infatti una modalità lavorativa tipicamente femminile: le donne che lavorano a tempo parziale costituiscono il 28,1% contro appena il 4,6% degli uomini
- La maternità resta il più potente fattore discriminante sul lavoro: molte madri vengono "messe da parte" per via della minore flessibilità che sono in grado di assicurare. In Italia come in altri paesi, i casi di discriminazione ai danni delle donne in maternità o con figli piccoli sono molti più numerosi di quanto si riesca a misurare: l'elevato numero di dimissioni "volontarie" da parte di lavoratrici in maternità cela molti casi di abuso e violazione dei diritti delle donne. Riprendere poi una carriera dopo una pausa per maternità è inoltre sempre più difficile in un ambiente lavorativo fortemente competitivo come quello attuale.
- Essere madri: in Europa le madri con figli piccoli mostrano in media tassi di occupazione inferiori di oltre 13 punti percentuali rispetto a quelli delle donne senza figli, mentre i padri con figli piccoli hanno in media tassi di occupazione più elevati di 10 punti percentuali rispetto agli uomini senza figli. Uomini e donne hanno quindi opportunità molto differenti nel mercato del lavoro. 
- Il fenomeno del "soffitto di cristallo", quella barriera invisibile che impedisce alle donne di fare carriera. Si tratta di impedimenti non dichiarati che vengono contrastati da molti provvedimenti per garantire le pari opportunità tra uomini e donne, tuttavia la presenza femminile nei ruoli dirigenziali e nelle posizioni apicali all'interno delle imprese è ancora una rarità e le disuguaglianze di genere non sono state risolte, nonostante l'aumento della presenza femminile nel mercato del lavoro anche nelle occupazioni più tradizionalmente maschili. L'Italia è il paese europeo dove la presenza femminile nei ruoli aziendali con responsabilità direttive è la più bassa in assoluto: il 18% contro una media europea che sfiora il 30%. Qualcosa non torna visto che a scuola, all'università e nei concorsi le votazioni migliori sono quasi sempre delle studentesse. 

Concludendo, se dunque è vero che molto è cambiato riguardo ai livelli e ai modi di partecipazione al lavoro delle donne, è altrettanto vero che la strada del superamento delle disuguaglianze di genere è ancora molto lunga; le sfide più importanti riguardano l'adeguamento organizzativo dei lavori e della società alle esigenze, aspirazioni e responsabilità delle lavoratrici.

di Michelangelo Cirmi

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