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IN ASCOLTO DEI FUTURI COLLEGHI: I CONTATTI FP CGIL INPS SUL TERRITORIO

RIFLESSIONI SUL RUOLO DEL SETTORE PUBBLICO E SULLO SCIOPERO DEL 9 DICEMBRE

In questi mesi si sono intensificati gli attacchi mediatici, spesso provenienti da precisi ambienti politici, contro il servizio pubblico e i suoi lavoratori.

Accantonati velocemente gli elogi per quanto il pubblico è riuscito a garantire nella prima fase pandemica, reggendo il “sistema paese”, non si è certo perso tempo per ritornare a screditare l'intero settore.

Ci siamo lasciati anche troppo velocemente alle spalle le attestazioni di stima della scorsa primavera, talvolta inaspettate, come quello di Leonardo Del Vecchio, uno degli uomini più ricchi d’Italia, a capo di Luxottica ( tra le maggiori imprese private italiane con decine di miliardi di fatturato) che intervistato a suo tempo dal quotidiano La Repubblica aveva affermato: finora pensavamo che il pubblico fosse meno efficace del privato. Credo che migliaia di medici e infermieri che ogni giorno rischiano la vita abbiano dimostrato che non è così. Spero che questo senso di orgoglio del lavoro rimanga anche in futuro.

E come negare l'onestà intellettuale di tale affermazione, quando praticamente è stata la sanità pubblica a doversi praticamente sobbarcare da sola, i ricoveri e le cure durante la fase emergenziale. Come non essere d'accordo di fronte alle risorse pubbliche messe in campo e al lavoro straordinario svolto in emergenza da enti come l'Inps.

Il settore pubblico nonostante decenni di spending review, pur con tutte le sue criticità, ha retto.

Eppure nonostante all'appello manchino risorse e personale (il fabbisogno di mancate assunzioni stimato ammonta ad almeno 500.000-600.000 unità), si è continuato a inveire contro il pubblico e i suoi lavoratori.

Del resto affondare la lama contro di loro è assai facile, meno andare a colpire chi detiene realmente i privilegi economici.

Per cui si crea ad arte la contrapposizione tra le diverse categorie di lavoratori e dopo la si alimenta: si mettono contro i dipendenti  pubblici con quelli privati, o entrambe le categorie con le partite iva, riuscendo nella mirabolante impresa di far odiare l' impiegato che magari prende 1.200,00 euro e il piccolo commerciante all'angolo.

E anziché parlare di estendere i diritti a quelle categorie che ne hanno meno, si parla di colpire chi ne ha qualcuno in più. Di contro non si dibatte mai su chi in virtù del capitale posseduto, gode di reali rendite di posizione: pertanto non si ci interroga sul perché colossi del web paghino tassazioni irrisorie nel nostro Paese, sulle motivazioni per cui si possano erogare ingenti prestiti garantiti dallo stato, praticamente senza condizionalità, a una nota azienda automobilistica con sede fiscale e legale all'estero che poi non si fa scrupolo di ridurre le commesse italiane per aprire stabilimenti all'estero. Non si ci si ferma a pensare all'aberrazione del fatto assodato che multinazionali farmaceutiche possano imporre a loro uso e consumo la propria forza contrattuale a stati sovrani sulle forniture dei vaccini o ancora alle conseguenze sul piano sociale di un divario reddituale, quello tra la fascia più ricca e quella più povera della popolazione, ampiamente accresciutasi dopo la pandemia e al progressivo impoverimento del ceto medio. Eppure, mi sentirei di aggiungere, dopo il crollo del Ponte Morandi il mito della superiorità della gestione privata su quella pubblica, dovrebbe quantomeno essere venuta meno, ma considerazioni come queste faticano a imporsi come temi di discussione.

 Ora però andiamo a noi: i dipendenti pubblici italiani, non è un mistero, sono tra quelli meno pagati in Europa, lo dicono le statistiche.

Quello pubblico è appunto un settore rimasto per nove anni senza contratto e poi umiliato con una miseria di “aumento” dalla ministra renziana, Marianna Madia: un settore nel frattempo in attesa nuovamente di rinnovo contrattuale. 

Le pubbliche amministrazioni sono poi state stata svuotate dal blocco delle assunzioni e dai pensionamenti ed hanno dipendenti con un’età media di 51 anni. Mancano all'appello come si spiegava prima, per l'appunto, almeno 500.000 lavoratori. Rinnovare la P.A. assumendo giovani per dare migliori servizi ai cittadini è quello che il sindacato ha chiesto e deve continuare a chiedere.

Lo sciopero generale unitario del 9 dicembre è stato promosso per tutte queste e altre ragioni: si è scioperato ad esempio anche per garantire che in tutti i luoghi di lavoro il personale fosse fornito di adeguati d.p.i. L'astensione dal lavoro è stato anche un atto di solidarietà verso gli operatori sanitari che spesso operano in ambienti non sicuri e sono oggetto di aggressioni fisiche, hanno carichi di lavoro sfinenti con turni che superano spesso le 12 ore; lo sciopero è stato avanzato anche per loro così come anche per dire no al precariato nelle pubbliche amministrazioni e per tante altre ragioni abbondantemente spiegate in comunicati e volantini.

Si è cercato per un attimo, di portare in alto l'asticella della conflittualità, di dare una risposta “politica” ad un confronto latente con un Ministro spesso riluttante a confrontarsi sui temi citati.

In merito alla partecipazione dei lavoratori, senza nascondersi dietro a un dito, occorre ammettere che l'adesione non è stata esaltante, in particolare nel nostro Istituto. Non conforta il fatto che storicamente le adesioni allo sciopero nel settore pubblico, con le debite eccezioni, non siano state mai altissime.

Partecipare era un atto dovuto: lo sciopero è lo strumento per eccellenza, il più radicale forse, di cui il lavoratore dispone per portare avanti le proprie ragioni, rinunciando al proprio stipendio, pertanto andando incontro a un sacrificio economico al fine di perorare una causa. Per tali motivazioni chi sciopera merita rispetto.

Le ragioni sottese alla giornata di agitazione del 9 dicembre, rimango dell'idea, fossero corrette: certo, forse si poteva spiegarle meglio ai lavoratori, forse potevano essere organizzate più assemblee, forse...

Si potranno sempre tirare fuori dei motivi per giustificare la mancata adesione, è pur vero che spesso si ci rende conto della gravità della situazione quando ormai la stessa è irreversibile.

Sindacalmente parlando, il lavoro da fare all'orizzonte è grande. Occorrerà dialogare con i colleghi, cercare di spiegare quali sono le battaglie in atto e l'importanza delle rivendicazioni avanzate, il perché della conflittualità; ancora spiegare la necessità di agire collettivamente senza scindere le istanze in gruppi di interesse. Insomma c'è tanto da fare anche perché il vento in questa fase storica non soffia certo a favore.

di Francesco Fustaneo



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